Propaganda

Vecchia quanto la civiltà, la propaganda è stato uno degli strumenti più usati dall’uomo per legittimare il proprio agire e quello di politici, sacerdoti e militari. Già Giulio Cesare ne faceva ampio uso. Il “De bello gallico” e il “De bello civilii” ne sono esempi più che chiari; resoconti delle sue imprese in Gallia e in Grecia volte solo a innalzare la sua figura di generale e benefattore di Roma, affossando invece i suoi nemici. Questa strategia sarà poi più che sfruttata dagli imperatori, che si eleveranno a divinità.

Le opere di Cesare, per quanto antiche, ci rivelano una verità estremamente attuale. La guerra è narrazione, la si racconta in maniera da favorire uno schieramento o l’altro. La parte di questa narrazione che oggi andrò ad approfondire è la narrazione creata dal popolo, i simboli che adotta nella guerra per darsi speranza, i canti che scrive e che canta per risollevare il morale e i miti che nascono per legittimare il proprio esercito, in particolare nel contesto della guerra in Ucraina.

I Discorsi

Partiamo dai messaggi che i presidenti Zelensky e Putin vogliono trasmettere tramite i loro modi di porsi e le parole che utilizzano nei loro discorsi.

Notiamo che i discorsi del presidente ucraino utilizzano una comunicazione d’impatto, informale, in cui si raccontano gli orrori della guerra, facendo appello al mondo occidentale affinché non dimentichi l’Ucraina e il suo popolo che sta combattendo per la propria indipendenza. Questi discorsi dall’inizio della guerra vengono registrati con un cellulare e nei video il presidente si mostra in abiti civili o militari, in ambienti più o meno ufficiali. Il messaggio è chiaro: “il paese è in guerra, non c’è spazio per le formalità e io sono vicino al mio popolo”.

Di controparte il suo collega Putin utilizza una comunicazione fredda, distaccata e formale, che trasmette sicurezza, fermezza e stabilità. In una parola: controllo. Putin si mostra sempre in ambienti ufficiali, a significare che la Russia è salda, forte, in grado di continuare la guerra a lungo, facendo molta attenzione a non far trapelare la grave crisi militare e sociale che sappiamo invece sta attraversando.

Prendiamo degli esempi da mettere a confronto.

Cari Ucraini, Putin ha annunciato un’operazione militare speciale nel Donbass. (…) Ho parlato con Biden, gli Stati Uniti stanno iniziando a raccogliere appoggio internazionale. Abbiamo bisogno che stiate calmi (…). Niente panico, siamo forti, siamo pronti a tutto e sconfiggeremo tutti.”

Zelensky sembra porsi come un padre che tranquillizza i suoi figli, mentre Putin minimizza i rischi della guerra:

Per proteggere la nostra madrepatria, la sua sovranità e integrità territoriale (…) ritengo necessario sostenere le proposte del ministero della difesa e dello stato maggiore di tenere una mobilitazione parziale in Russia (…). Saranno soggetti all’obbligo di leva solo i cittadini che attualmente sono nella riserva (…)”

I Simboli

Da quel fatidico 24 febbraio 2022, dopo lo scoppio della guerra, in Ucraina sono comparsi simboli nuovi e simboli popolari si sono rivestiti di nuovo valore. Il simbolo diventa in queste situazioni vitale per non crollare, il simbolo diventa speranza e fa nascere nelle menti degli ucraini assediati il pensiero che “non è ancora finita”, il simbolo acquisisce un importantissimo valore strategico e militare.

Per ora concentriamoci sull’iconografia.

L’immagine forse più emblematica della resistenza, diventata virale sui social, è quella di Saint Javelin. In quest’immagine viene rappresentata una Madonna, con i tratti dell’iconografica ortodossa, che porta in grembo un’arma anticarro speciale, l’FGM-148 Javelin. Quest’arma, di produzione americana, si è rivelata fondamentale per molte vittorie delle forze ucraine contro i carri armati russi. La Madonna, non indossa abiti dai colori tipici: la sua veste è verde, lo stesso colore delle divise militari. L’aureola è azzurra e gialla, i colori nazionali ucraini, con all’interno due tridenti. Questo simbolo, creato dal giornalista ucraino canadese Christian Borys, fu inizialmente stampato su merchandising da vendere per supportare la resistenza. Il successo del simbolo è stato tale da essere portato sul campo di battaglia.

Altro simbolo è la caraffa a forma di Galletto di Kiev. In una foto di un appartamento devastato dai bombardamenti nella capitale ucraina, infatti, spunta questa caraffa a forma di galletto. La diffusione della foto ha reso il galletto simbolo della resistenza e della resilienza del popolo ucraino, in grado di resistere intatto anche in mezzo alle macerie. Quando Boris Johnson, primo ministro inglese, andò in visita a Kiev per portare la solidarietà del Regno Unito a Zelensky, una donna gli si avvicinò e gli donò proprio una di queste caraffe. “Vengo da Londra” gli disse il primo ministro inglese, “Lo so, io da Kharkiv” rispose sorridendo la donna. Così molte testate giornalistiche riportarono il fatto, facendo conoscere al mondo intero il simbolo.

Tornati in auge sono i girasoli, antico simbolo dell’Ucraina e del suo popolo. Resistenza, unità, speranza: basta un girasole per dire tutto questo. Nelle manifestazioni contro il conflitto, il fiore nazionale dell’Ucraina è diventato un emblema per mostrare solidarietà al popolo in guerra.

I Canti

La musica ha sempre avuto nell’uomo un effetto rigenerante. La ascoltiamo per conforto quando siamo giù e come una dolce carezza ci aiuta a risollevarci. La ascoltiamo quando abbiamo bisogno di caricarci o per creare senso di gruppo con i nostri compagni. In guerra spesso il canto diventa uno strumento di lotta, anzi, possiamo dire che la guerra è terreno fertile per la musica.

Della produzione musicale bellica ucraina, porterò l’esempio che personalmente mi ha colpito di più, “Bayraktar”.

Ma cos’è un Bayraktar? I Bayraktar sono droni di produzione turca, in grado di trasportare armi anticarro. Questi “caccia” dall’inizio della guerra hanno riportato una vittoria dietro l’altra, tanto da meritarsi tutta la considerazione dell’esercito ucraino, che non ha caso gli ha dedicato questo canto.

“Bayraktar”, composta da Taras Borovok, descrive il drone come la giusta punizione per l’invasore russo, l’elemento chiave della risoluzione della guerra, mettendolo sempre al centro delle strofe:

“Le pecore ci sono giunte dall’Oriente

Per ristabilire un grande Stato

Ma i pastori di greggi migliori sono

Bayraktar

Bayraktar

Volevano invaderci con la forza

E questi orchi ci hanno offesi

I banditi Russi sono trasformati in fantasmi da

Bayraktar.”

L’arte è un’arma

È questo il pensiero che mi gira per la testa dopo aver scritto questo articolo. La prima arma di un uomo è la sua creatività, in grado di far sopravvivere la speranza in milioni di persone nei momenti più tragici. Che sia una guerra, una pandemia, una perdita o una malattia l’arte rappresenta anche questo: la capacità degli uomini di reagire alle difficoltà, ma di farlo sempre in modo imprevedibile. L’arte rappresenta un mezzo con il quale gli uomini esprimono il loro sentire e chiamano ad appello il meglio (o talvolta il peggio) di loro stessi per superare la crisi.

Mattia Limardo