Tempo

Quanti di voi hanno mai sentito parlare della celeberrima Soulsborne series? Perfetto: nessuno. E non vi biasimo per questo; il periodo liceale non è di certo noto per lasciare molte ore libere agli studenti. E non vi siete mai chiesti di quanto tempo l’essere umano potrebbe disporre se non dormisse affatto? Quali attività potremmo permetterci di praticare? Giocare è sicuramente tra queste. Certo, se non dormissimo, riusciremmo ad avere tempo sufficiente per gustarci appieno un videogame complesso, ma siccome dobbiamo dormire l’unica alternativa che spesso ci rimane è cedere al “Purgatorio” di titoli perditempo privi di spessore culturale come Genshin Impact o Fortnite.

Che cosa sono i Soulslike

Ma torniamo al fulcro del nostro excursus video-letterario: i souls. Di cosa si tratta in poche parole? Sono gli eredi del primo Dark Souls del 2011, fieramente marcato FromSoftware. Rientrano nella categoria degli action RPG (giochi di ruolo d’azione) della linea giapponese. Quindi il protagonista di cui vestiremo i panni sarà un “silent character” aperto, ossia un personaggio muto e  completamente personalizzabile. Il tutto in un universo Dark Fantasy oscuro e affascinante. Ma passiamo all’aspetto che più li ha resi famosi tra i giocatori di tutto il mondo: il suo essere ostico all’ennesima potenza. A differenza di molti altri videogame, la sua particolarità è il non poter impostare una difficoltà all’inizio della partita. La sua impennata quindi sarà brusca ed improvvisa, innalzandosi di colpo dopo il “tutorial”. Il perché di questo è stato spiegato da Miyazaki (la mente dietro i Souls “Fromsftwariani”) in una sola parola: “sadismo”. Che stesse scherzando oppure no, le trappole e gli agguati, seppur prevedibili diventano motivo di frustrazione. Ma non siamo qui per questo, giusto? Lasciamo i tecnicismi a chi è di dovere.

Il videogioco

Prima di passare alla sua peculiarità stilistica, è necessario un chiarimento: nonostante i videogame siano spopolati, non sono sempre visti di buon occhio da tutti. In primo luogo sono giustapposti allo “spreco di denaro”. E in questo caso, se vogliamo dirla tutta, non si ha del tutto torto. Il motivo del pay-to-win (pagare per vincere) è attualmente molto discusso. I giocatori, passando centinaia di ore davanti allo schermo di uno dei titoli perdigiorno free-to-play (“gratuiti”‘) sopra-citatati, vogliono diventare sempre più forti e distintivi. E qual è la strada più breve per il raggiungimento di questo obbiettivo? Già, vi stupireste se vi dicessi a quale prezzo ammontano i reni e i polmoni sul mercato nero, e della determinazione di ottenere nuove abilità o nuove estetiche propria dei “ludo-dipendenti”. Infine, l’altra convinzione assolutamente errabonda è che non trasmettano valori profondi e che, quindi, siano per l’appunto perditempo. La verità è che… beh, questa è la verità: la maggior parte dei giochi lo sono. Bisogna considerare che il primo fine dei grandi Studios è stato per molto tempo ed e ancora in molti casi quello di guadagnare. E il miglior modo per succedere in questo è puntare sul far divertire il giocatore senza comunicare niente in nome del “vil danaro”. Non vorrei fare nomi, ma a questo punto potremmo dare la parola alla EA. Fino a pochi anni fa era infatti inconcepibile la nascita delle software house indie. Ma grazie ai motori grafici (che volgarmente parlando sono gli strumenti che gli sviluppatori usano per creare un gioco) quali Unreal Engine e Unity, è diventato quasi un  fenomeno di massa. Quindi per emergere dalla schiera del banale e dell’omogeneo, le case indie (“indipendenti”) come anche quelle “tripla A” (“di alto budget”) si sono viste costrette a rendere i propri giochi unici. E questo desiderio segnò l’avvento dei story-rich/story-driven e lore-driven (videogame che puntano principalmente sulla storia). Questa è stata anche la strada della FromSoftware.

L’arte

Torniamo ora ai Souls. Perché il primo Dark Souls vinse il titolo di gioco del cinquantennio? Cosa ha saputo fare al di là del gameplay che altri non hanno fatto? In una sola parola: lore. Prima di parlarne è necessario effettuare un’ulteriore digressione: la differenza tra plot e lore. L’inglese usa due sostantivi differenti per riferirsi alla trama e a “ciò che è avvenuto prima del suo svolgimento”. In termini tecnici con “lore” si indica proprio la perifrasi sopra indicata. E Dark Souls è un tutt’uno unico con essa. Ebbene, si può parlare dei Soulslike come di “romanzi frammentari”. Il giocatore non è certamente dotato di un’enciclopedia da cui può evincere avvenimenti e informazioni. Anzi, è spronato a capirlo da solo attraverso il binomio di narrativa testuale e ambientale. La comprensione prima facie dell’intero ciclo degli avvenimenti di questa tipologia di videogame è pressoché impossibile. Serviranno almeno due o tre partite prima di ricollegare un’incisione muraria, la forma di una spada o le sembianze di un mostro alla descrizione di uno degli oggetti che avete trovato in precedenza. Perché è proprio quello che si deve fare: collegare mentalmente più fonti visive o uditive perché niente è lasciato al caso. E questo è magnifico. Il direttore della FromSoftware ha saputo spingere ognuno dei giocatori a dare una propria e unica interpretazione, un mattoncino alla volta per completare e dare un senso a questo “romanzo incompleto”. E talvolta questi legami mancano. Quindi starà proprio a noi intrecciare le omissioni (volute) con la nostra immaginazione (nei limiti della lore).

Le anime oscure

Volete una metafora più concreta per comprendere meglio Dark Souls? Bene, prendete una copia de “Il Signore degli Anelli” e strappate casualmente alcune delle pagine. Ehm…. No, fermi, messa cosi suona tanto come un crimine contro l’umanità. È meglio pensarla su un piano più concettuale senza deturpare i libri: Dark Souls è potenzialmente un tomo a cui l’autore ha voluto occultare o togliere alcuni frammenti. L’unico elemento, invece, ad esserci presentato in modo quasi inconfutabile sin dall’inizio è proprio l’introduzione. Al principio il mondo era amorfo e privo di significato, ma poi venne la Fiamma Primordiale. Dalla fiamma nacque la luce e dalla luce l’ombra. L’ombra diede vita al freddo contrapposto dal calore del fuoco. Tutto ciò segnò la nascita della vita e della morte. Tutto era parte di un binomio, tutto era diverso. E dall’oscurità giunsero i Lord, e nelle fiamme trovarono le loro anime: tra di loro c’erano Gwyn, Lord del Sole, Izalith, Lord del Caos, Nito, Lord della Morte e il predecessore della genie umana, un misero Nano indegno di essere ricordato, il possessore dell’Anima Oscura. Oppresso dalla solitudine decise di frammentare la propria anima e dall’unità nacquero le Dark Souls, gli esseri umani, creature di “buio illuminato” tendenti all’oscurità e al contempo alla luce. O almeno questa è la mia personale interpretazione, perché in merito alla genesi umana in DS1 niente è realmente concreto. Miyazaki solo sa quanto altro ci sarebbe da dire. Il rapporto conflittuale tra gli Dei e l’uomo… il motivo della solitudine, di una falsa predestinazione, dell’esistenza umana vista come non-morte (o non-vita) dal momento che.. ma credo sia giunto il momento di fermarmi per evitare di divagare ulteriormente.

Perché “La notte è stata lunga…”

Il punto è sempre il tempo. Noi non lo abbiamo, e non possiamo spenderlo in attività inutili. E i videogiochi sono considerati tali da molti, per ora. Questo pensiero è frutto della convinzione del passato “secolo superbo e sciocco” che il fine degli sviluppatori sia ancora legato esclusivamente al guadagno. Perché, invece, i videogiochi non potrebbero semplicemente raccontare una storia o comunicare un valore? I videogame non sono tutti uguali. Ma ci sarà sempre qualcuno a dissentire. In questo caso bisogna provare comprensione perché, riprendendo Bloodborne: “i suoi occhi sono ancora chiusi e dobbiamo pensare che dorma ancora… In attesa del risveglio.”

Aleksander Fedoseev