Il giorno del giudizio

Immaginate di vivere in una zona montuosa e povera; di essere magari profughi, esuli dalla vostra terra natia; di vivere nelle tende al freddo dell’inverno, oppure in case disagiate e di vedere i bambini giocare a pallone nelle strade, capaci di distrarsi anche in mezzo ad un inferno terrestre. E poi, un giorno, la terra trema, un boato assordante fa crollare tutto, e il cielo si oscura per la polvere. Il 6 febbraio nella zona del Kurdistan, tra il sud-est della Turchia e il nord della Siria, un terremoto di magnitudo 7.9 si è abbattuto sulla regione, causando più di 46.000 vittime.
Per le popolazioni che abitano quelle terre è un vero e proprio disastro umanitario, un’emergenza che non ha eguali per numero di morti, ma anche di feriti, circa 80.000, e di sfollati, almeno 5 milioni secondo l’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati). Sui giornali e sui social media rimbalzano filmati che mostrano la disperazione di chi ha perso ogni cosa, ma anche storie miracolose di persone e bambini che vengono estratti vivi dalle tombe delle macerie, quando ormai le speranze si affievoliscono.


Il terremoto, come abbiamo detto, si è verificato in due Paesi in cui oggi possiamo osservare due situazioni sociali e politiche completamente differenti, che richiedono una lettura autonoma l’una dall’altra.
Turchia
Il terremoto è stato un mortale imprevisto che complica i piani del presidente Erdogan per la rielezione alle prossime presidenziali di maggio. Da ogni dove piovono infatti le accuse per le speculazioni edilizie, favorite dal Governo, che hanno interessato ampiamente la zona colpita: un errore imperdonabile, a maggior ragione perché questa è una tra quelle con il rischio più alto. Dopo l’ultimo terremoto del 1999 era stata introdotta una tassa che tutti i cittadini dovevano versare per contribuire alla costruzione di edifici con le necessarie misure anti-sismiche; e tuttavia non sembra che le risorse siano state destinate a queste zone periferiche dello Stato, bensì alle città più importanti come Istambul e Ankara. Inoltre i soccorsi sono giunti con parecchio ritardo, per stessa ammissione del presidente Erdogan. La ricerca dei responsabili tra i costruttori è già iniziata, con decine di arresti, che appaiono però sommari e affrettati; un tentativo del Governo di distogliere l’attenzione dalle proprie colpe. È verosimile pensare che la data delle elezioni verrà posticipata per permettere un inizio di ritorno alla ‘normalità’: solo il tempo ci rivelerà se in questa roccaforte elettorale di Erdogan, il terremoto causerà un cambio di opinione e quali conseguenze avrà sul sistema politico e sociale della Turchia.
Siria
La Siria era una polveriera ben prima del sisma: il Paese da alcuni anni è impegnato in una guerra civile che vede come protagonista il governo riconosciuto, stanziato nella zona meridionale e governato da più di vent’anni dal presidente Assad, un personaggio controverso e divisivo, accusato di non rispettare i diritti umani e di aver soffocato violentemente le primavere arabe, ma saldissimo nella sua posizione grazie all’appoggio di Cina e Russia. A causa di ciò negli ultimi anni la Siria è soggetta a sanzioni da parte dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. Nel Nord-Est sono invece stanziati i ribelli, antigovernativi, sostenuti dalla Turchia e dall’Arabia Saudita, che hanno interesse a contrastare le forze sciite presenti in Medio-Oriente; tra i ribelli si sono anche infiltrate cellule terroristiche appartenenti all’ISIS e ad Al-Qaeda. Inoltre, soprattutto nel Nord-Ovest la maggioranza della popolazione è curda, un’etnia perseguitata che non ha ancora trovato il riconoscimento di un proprio territorio autonomo. In questi equilibri geo-politici occorre sottolineare che si celano interessi economici molto forti, e che ci sono innumerevoli fazioni e gruppi etnici-religiosi differenti; tuttavia è giunto il terremoto a rimescolare le carte e aggravare le condizioni dei curdi e dei ribelli, i cui territori sono stati sede dell’epicentro del sisma. Molti Stati che applicano le sanzioni si stanno interrogando se sospenderle per permettere l’invio di aiuti economici e umanitari, dubitando tuttavia dell’uso che il presidente Assad potrebbe farne. Fino ad ora solo l’Italia tra i Paesi Europei ha inviato aiuti alla Siria, mentre l’amministrazione Biden ha deciso di sospendere per sei mesi la restrizione alle transazioni finanziarie con la Siria, una delle sanzioni che erano state imposte.

La scossa
Il terremoto deve gettare luce sulle gravi disuguaglianze e le persecuzioni in atto in quei territori, deve renderci consapevoli che il mondo intorno a noi continua ad essere crudele e governato da interessi politici ed economici; le Istituzioni Europee non hanno le risorse e la possibilità per intervenire in quei conflitti e imporre una riappacificazione, una ricostruzione sociale ed etnica che si basi sul rispetto e la tolleranza. Ci sono altre super-potenze che influiscono sui conflitti, come la Cina, la Russia e i paesi Arabi esportatori di gas e petrolio, e senza alcun dubbio la questione legata ai diritti umani non è tra le loro priorità.
Preghiamo per la salvezza di quante più persone possibili, e perché la luce della ragione illumini i governanti dei Paesi coinvolti nei conflitti in Medio-Oriente: prevalga la pace.
Nicola Santacatterina
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