La guerra civile siriana, iniziata tredici anni fa, ha sconvolto il mondo intero, portando il Paese a un livello di devastazione senza precedenti: le atrocità commesse dal regime di Bashar Al Assad, dai gruppi terroristici e dalle forze esterne hanno contribuito a creare uno degli scenari più tragici del XXI secolo, con oltre 620.000 morti e circa tredici milioni di sfollati. La Siria, una Nazione che vantava una cultura millenaria con tesori risalenti ad alcune delle civiltà più importanti della storia (dai Sumeri, Babilonesi e Assiri, ai Persiani, Romani, Arabi e Ottomani), è stata ridotta a un campo di battaglia dove la brutalità della guerra ha lasciato solo morte e distruzione. Ma soltanto a partire dal novembre dell’anno scorso, quando la coalizione di organizzazioni ribelli guidata da Abu Mohammed Al Jolani ha rovesciato la dittatura di Assad, è stato possibile accertarsi riguardo ai crimini di uno dei regimi più brutali della nostra epoca.

Fin dalla nascita della Siria come Stato moderno al termine della Seconda Guerra Mondiale, concluso il periodo di protettorato francese sancito dalla Società delle Nazioni nel 1922, il Paese vide una situazione politica instabile, caratterizzata dalla guerra arabo-israeliana (1948), da un’unione con l’Egitto sotto la guida del colonnello egiziano Gamal Nasser (1958-1961), e da continui golpe militari. A partire dal 1963 assunse il governo attraverso una rivoluzione il Partito del Risorgimento Arabo Socialista, un gruppo fondato dall’intellettuale Michel Aflaq che proponeva un’ideologia tra il nazionalismo siriano-arabo e il socialismo detta baathismo: venne adottata una politica sempre più autoritaria, allineata all’Unione Sovietica, che culminò nel 1970 con la salita al potere di Hafez Al Assad, il quale instaurò un regime totalitario di carattere ereditario, accentrato su un culto della personalità. Fu l’inizio di una lunga era di repressione politica, durante la quale la famiglia Assad avrebbe controllato ogni aspetto della vita pubblica siriana.

Hafez Al Assad non esitò a usare la violenza per mantenere il potere e la sua risposta a qualsiasi forma di opposizione fu sistematica e brutale: ne è esempio il massacro di Hama del 1982, in cui l’esercito siriano annientò un’intera città per reprimere una rivolta della Fratellanza Musulmana, un’organizzazione che da anni criticava il regime, uccidendo tra i venti e i quarantamila civili. Furono aperte decine di carceri ispirati ai campi di concentramento nazisti (Alois Brunner, ufficiale delle SS considerato il braccio destro del comandante Adolf Eichmann, prese parte alla progettazione dopo essere fuggito in Siria per evitare la condanna a morte per crimini contro l’umanità), il più grande dei quali fu quello di Tadmor, in cui trattenere masse di oppositori politici, rastrellati durante le manifestazioni, e sottoporli a torture fisiche e psicologiche estreme, spesso fino alla morte.

Quando lo spietato dittatore morì nel 2000, dopo trent’anni di governo, ereditò il potere il figlio Bashar Al Assad, il quale, diventato inaspettatamente successore del padre nel 1994 in seguito alla morte del fratello maggiore Bassel in un incidente stradale, si era laureato in Medicina, aveva studiato oftalmologia a Londra e non pareva interessato alla politica: ciò aveva suscitato speranze di cambiamento tra la popolazione siriana e la comunità internazionale, ma egli non si distaccò mai dalla tradizione del regime autoritario e, anzi, la portò avanti rafforzando la repressione dei suoi oppositori con il carcere di Saydnaya.

Nel 2011 la Primavera Araba, un fenomeno di proteste e sommosse popolari che richiedevano la fine dei governi autoritari e corrotti nel Nordafrica e nel Medio Oriente, coinvolse anche la Siria: con il crescere delle manifestazioni, lo Stato rispose con una brutalità senza pari, utilizzando sistematicamente torture, massacri e incarcerazioni di massa contro i rivoltosi, provocando dall’altra parte la nascita di milizie armate tra il popolo, fra cui l’ESL (Esercito Siriano Libero) e l’SNA (Esercito Nazionale Siriano). Ebbe così inizio, nel 2013, una guerra civile. Il conflitto fu fin da subito macchiato da ogni sorta di atrocità, a partire dall’impiego di armi chimiche contro la popolazione civile sotto gli ordini di Assad. È tristemente noto l’episodio di Ghouta, un sobborgo di Damasco in cui, il 21 agosto 2013, oltre mille persone, tra cui bambini, morirono a causa di un attacco con il tossico gas sarin. Approfittando dell’instabilità nell’area, iniziò ad avanzare nelle regioni desertiche del nordest l’ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria), gruppo fondamentalista che si mise rapidamente a compiere stragi e rapimenti, atti spesso filmati e diffusi come strumento di terrore; furono perseguitate minoranze etniche e religiose, tra cui i cristiani, gli yazidi e i drusi, i quali se catturati venivano uccisi in modalità particolarmente brutali come decapitazioni pubbliche. Fu il timore delle organizzazioni terroristiche a spingere gli Stati Uniti a entrare nel conflitto, ma l’Occidente si tenne comunque lontano dall’attaccare Assad: a partire dal 2015 il dittatore ebbe infatti aiuto dall’Iran, che gli offrì il supporto di gruppi paramilitari alleati come Hezbollah, e dalla Russia, che coordinò con lui devastanti attacchi aerei per bombardare a tappeto le zone controllate dagli insorti: fu distrutta, con oltre trentamila morti, gran parte di Aleppo, e con essa gli storici patrimoni dell’umanità UNESCO che la rendevano tanto interessante.

Dopo anni di sofferenza per il popolo siriano, la tirannia di Bashar Al Assad è tuttavia giunta al termine: dopo una fase di stallo che era parsa essere eterna, l’8 dicembre 2024, la coalizione ribelle guidata dal gruppo islamista Hayat Tahrir Al Sham ha conquistato in una rapida marcia di dodici giorni Damasco, la capitale, determinando così il ritiro del dittatore a Mosca. Sono state abbattute le statue dell’odiata dinastia, aperte le porte delle prigioni e liberati i detenuti; è stato devastato il palazzo di Assad, con il suo lussuoso arredamento, vestiario e garage acquistati con le ricchezze estorte al Paese. Il futuro della Siria resta incerto, la guerra continua, ma la notizia della fine di un governo tanto repressivo e malvagio non può che dare speranza.

J.G. McKenna