Intervista a Gabriele Dell’Otto
Gabriele Dell’Otto è un illustratore della Marvel e della Dc, che ha curato una versione illustrata della Divina Commedia in collaborazione con il professor Franco Nembrini.
Il 2 e il 3 dicembre era a Desenzano per l’inaugurazione della mostra in Castello “Il mio inferno – Dante profeta di speranza”, e, in questa occasione, ho avuto l’onore di intervistarlo.
Gabriele, cominciamo dal motivo per cui sei qui, la mostra in Castello. Come è nato questo progetto di illustrazione della Divina Commedia e che cosa ha significato per te?
Il progetto è iniziato dall’incontro con Franco ed è poi continuato con la relazione, che si è sviluppata poi in un’amicizia, non solo con lui, ma anche con Dante, e poi insieme a Dante con tutti i ragazzi che hanno collaborato al comitato scientifico con Franco. Per cui, non so come dire, nel momento in cui sono entrato in relazione con Dante è come se avessi scoperto una nuova realtà, che è la realtà appunto della relazione con l’altro che ha talenti diversi dai miei. Ogni tanto mi chiedono perché ho voluto fare la Divina Commedia. In realtà io non l’ho voluta fare. Non la volevo fare, non mi è mai saltato in mente di fare la Divina Commedia; ma incontrando Franco, attraverso la parafrasi che lui faceva dei canti – soprattutto dei primi – io ho scoperto qualcosa che mi interrogava profondamente e ciò è arrivato che ero nel mezzo del cammin di nostra vita, quando avevo quarant’anni. Avevo fatto tutta una serie di scelte, una serie di esperienze, che mi hanno portato ad essere il Gabriele Dell’Otto di quel momento, che però molte cose non le aveva affrontate; non so come dire, andava tra virgolette tutto bene ma profondamente non era proprio così. Per cui mi sono rimesso in gioco e attraverso questa lettura sulla mia vita ho cominciato a realizzare delle immagini, poi da lì è partito un po’ tutto. Quindi il progetto è nato così. Poi è arrivata la Mondadori in corsa, dopo qualche anno che noi già lavoravamo al progetto, e anche lì c’è stato un incontro provvidenziale e tutta una serie di persone, quindi relazioni, nuove relazioni che hanno permesso di arrivare alla pubblicazione.
Tu hai avuto l’idea di illustrare ciò che Dante vede. Come è nata questa idea?
Questa idea? Beh, i famosi aneddoti. Era la prima volta in assoluto che Franco doveva venire da me dopo che c’eravamo incontrati fuori. Era la prima volta che sarebbe dovuto venire in studio, e stavo già lavorando ad alcune tele, tra le quali c’era l’Ulisse. Ci tenevo particolarmente a finirla perché è uno dei canti a cui Franco tiene di più, per cui volevo finire la tela prima che lui arrivasse in studio. Ci lavorai all’incirca una decina di giorni, però ogni volta, ogni fine giornata, io davo un colpo di spugna alla tela e cancellavo ogni cosa che avevo fatto, perché ogni volta ha rischiato di diventare una copertina dei Fantastici 4 con la Torcia Umana. Tentavo di visualizzare di continuo quello che io immaginavo potesse piacere al lettore; c’era questo corpo che bruciava, una volta era uno scheletro, una volta era un uomo in fiamme, una volta era in negativo, una volta era solo un’ombra… Però ogni volta, dopo che finivo una giornata di lavoro, non ero soddisfatto. L’ultima sera – il giorno dopo sarebbe arrivato Franco – dopo l’ennesima giornata fallimentare mi ero stufato; avevo già levato tutto, avevo preso i tre colori fondamentali, che erano quelli della fiamma, il giallo, il rosso e l’arancione, li ho mischiati a fresco – si dice così in gergo tecnico – e li ho praticamente spatolati con un pennello abbastanza grande sopra la tela e poi sono andato via. Ho detto: “Ah, quel che è venuto è venuto e poi domattina lo guardo”. La mattina dopo, con mio sommo stupore, quando arrivai in studio, c’era quello che tu vedi adesso realizzato, cioè c’erano queste due fiamme, e dentro di me – a parte che mi piaceva molto l’impatto visivo – ho pensato: “Ok, questo è quello che vede”. A un certo punto però è arrivato Franco; hai notato che lui fa sempre queste domande un po’… che non si sa mai se scherza o no e ti mette sempre un po’ di timore, poi quando lo conosci bene e diventi amico ti rassereni, però ha questo suo modo di fare… da professore. Entrando in studio mi guarda, guarda la tela e fa: “Questo sarebbe?” “La tela sull’Ulisse”. E lui seriamente mi disse: “O sei un genio o sei un pazzo”. E io “Perché?” e lui “Io mi aspettavo di tutto quando mi avevi detto che stavi lavorando sull’Ulisse, mi aspettavo di vedere la nave nel gorgo, lui sulla nave che raccontava… Mai mi sarei immaginato…” E io – questo è l’aneddoto – racconto sempre che lì sono due le scelte: possiamo raccontare un’epica menzogna o la più banale delle verità. La menzogna è che lo spirito mi ha indicato di dire, di rispondere: “Perché noi dobbiamo portare il lettore a vedere ciò che Dante vede, cioè vogliamo fare un percorso serio, immersivo, come stiamo facendo io e te, dobbiamo far sì che il lettore ogni volta che veda un quadro ripercorra quello che Dante fa – come se lo accompagnasse fisicamente”. L’altra cosa che racconto ridendo è: “È stato il panico”, per cui ho detto ‘sta stupidata e speriamo che… E invece lui: “No, hai ragione, però guarda – mi disse – che se noi percorriamo questa strada e la presentiamo al pubblico, cioè la rimandiamo così ai lettori, sarà pericoloso e sarà difficile progredire nel tempo mantenendo questa cosa anche con le altre cantiche . Però se la facciamo è una cosa che nessuno ha mai tentato di fare, e quindi coraggiosa”, e così abbiamo provato a fare. E devo dire – ringraziando veramente tante cose, tante relazioni, tanta provvidenza – alla fine tutto si è incastrato e abbiamo portato a termine questa impresa, mantenendo fede a questa visione.
Eri all’inaugurazione della mostra e hai visto l’allestimento, cosa ne pensi?
Fantastica. Fantastica perché in realtà c’è una visione, una visione d’insieme legata a tutte le realtà che la compongono; dall’associazione Rivela, che ha proposto la mostra la prima volta dopo il meeting di Rimini, a coloro che l’hanno accolta, prima a Verona e poi qua da voi, e realmente tutti i ragazzi, e non solo loro ma anche le famiglie. Mi è stato raccontato di un coinvolgimento totale, anche di alcune famiglie e alcuni genitori, che hanno dato a servizio quello che loro sapevano fare; chi fa il fabbro, chi fa il carpentiere, chi fa il falegname, chi fa anche la casalinga… Cioè tutto quanto è stato realizzato in un’unanimità di intenti, e la realizzazione, una cosa così bella, avviene solo attraverso un nesso. È proprio immersivo. Anche oggi, raccontavo che dopo la visita, al di là dell’esperienza che ha dato ognuno di voi, di Paolo che ha dato la sua… non so come dire, era tutto… come se fosse ideato dalla stessa mente, e invece non è così, perché io ho dipinto i quadri, Franco ha fatto la parafrasi, poi Rivela ha curato l’allestimento e le altre persone hanno aiutato hanno coadiuvato con le luci, i proiettori, le installazioni… Ad esempio ieri mi ha colpito, appena arrivato – e oggi poi l’ho rivista, l’ho riapprezzata – la fiamma sintetizzata in quel telo. Quella è, insomma, arte. È arte a servizio dell’arte, per così dire, perché tu metti a disposizione una cosa così… tu prendi quel telo e lo metti qua, può anche essere carino, però ha poco senso; là ha un valore aggiunto, che ti fa entrare proprio nell’ottica di quello che stai per andare a vedere. Quindi la sintesi è: perfetto.
Adesso una domanda un po’ più secca: qual è il tuo pannello preferito?
Il mio pannello preferito nella cantica dell’Inferno è Paolo e Francesca. Per tanti motivi, anche per una cosa di affetto proprio di realizzazione, perché l’ho realizzato prima di tanto altro. Quando abbiamo cominciato è stato il primo quadro che ho realizzato attraverso l’amicizia con Franco; perché i quadri che sono la porta, il conte Ugolino, poi mi pare Cerbero… quelli sono stati fatti su un’intuizione della parafrasi di Franco, sempre in linea ad essa. Invece Paolo e Francesca sono il primo vero quadro per cui noi abbiamo dialogato, per cui ci sono delle piccole cose che ho cambiato in corso d’opera. Lì abbiamo iniziato a prenderci le misure e lui mi diceva: “Mi stupisco che ogni cosa che io ti dico tu la accogli e la modifichi”, e dall’altra parte dicevo sì a questa cosa perché la sento vera, nel senso: quando tu mi fai una critica, non penso che sia una critica fine a sé stessa, ma per migliorare quel particolare lì, e quindi c’erano interessi comuni.
Passiamo ora a scoprire qualcosa in più sul tuo lavoro. Che percorso di studi hai seguito e che cosa ti ha portato a questa scelta, hai avuto qualcuno che ti ispirava?
L’ispirazione ce l’ho da quando ero piccolo: mio padre è lettore di fumetti, sono stato sempre circondato da fumetti, di tutti i generi, americani, europei, francesi, belgi e italiani e quant’altro. Io ho sempre disegnato, forse è stato anche un mio modo di tirarmi un po’ fuori, ero molto chiuso, molto timido, quindi era un modo di esprimermi. Questa cosa ha continuato nel tempo, perché mi dava tanta frustrazione ma anche tanto piacere quando lo facevo; non riuscivo, ritentavo, ed è ancora così ad oggi. Quindi era un mettermi alla prova, anche con me stesso. Poi ho fatto gli studi: dopo le scuole dell’obbligo ho fatto l’artistico, ho frequentato lo IED [Istituto Europeo di Design], corso di illustrazione; poi ho fatto un po’ di gavetta, e ho fatto una bottega, come si suol dire, di una scuola di illustrazione, di uno studio di illustrazione scientifico. Poi da lì è partito tutto, nel senso che ho cominciato a presentare le cose – non lo scrivere perché lei non lo vuole – grazie a lei [indica la moglie]… Lei mi ha obbligato a far vedere i lavori all’Expo Cartoon di tanti anni fa e ho cominciato da lì, piano piano… Ho continuato a lavorare per la Marvel europea per qualche anno, poi nel 2002 sono atterrato in America grazie all’amicizia con David Mac.
Hai già risposto a una domanda che volevo farti, cioè come sei giunto a lavorare per la Marvel e per la DC.
È la conoscenza con David, che venne ad Angouleme, la fiera più importante del settore in Europa, ormai tanti anni fa. Ci conoscemmo lì e lui mi fece una domanda abbastanza divertente, perché vide i miei lavori, gli piacquero molto e mi disse: “Ma tu perché non vuoi lavorare per gli americani?” E io gli risposi: “Non m’hanno mai chiamato…” Lui si mise a ridere e disse: “Vabbè, allora mi vuoi mandare un po’ di lavori?” Gliene inviai un po’ e dopo qualche mese – in realtà noi rimanemmo in amicizia per un po’ di tempo – da un momento all’altro mi scrisse e mi propose questo: c’era un suo amico – all’epoca ignoravo fosse Bendis – che aveva visto i miei lavori e voleva collaborare e da lì è iniziata tutta la collaborazione con gli americani.
Come funziona esattamente il tuo lavoro?
Io essendo un illustratore tendenzialmente lavoro a progetto, cioè lavoro a cover o poster o quello che sia; mi viene inoltrata una mail con una richiesta particolare e precisa, che ne so, fai una copertina del numero 57 di Spiderman (negli ultimi anni sono cambiate un po’ le cose, ci sono le varie fumetterie che fanno le uncover, che sono queste edizioni speciali, spesso sia per fiere che per fumetterie), poi io mando un layout, l’editor approva il layout quasi istantaneamente e poi si va in produzione con il definitivo. Però lavoro tutto da studio, nessun originale si muove, mandiamo solo le scansioni sui server.
Adesso passiamo a domande un po’ più personali, cioè che non riguardano il tuo lavoro o la mostra. Cosa fai quando non illustri, quando hai tempo libero?
Disegno. Immaginavo. In realtà ormai essendo padre di tre figli cerchiamo di fare quello che possiamo fare per loro. Nel tempo libero il tempo è occupato dalle cose loro. Poi ogni tanto abbiamo degli spazi minimi con mia moglie, però diciamo che tendenzialmente il tempo libero è dato a loro.
Cosa pensi del Marvel Cinematic Universe?
Io ho apprezzato molto fino alla fase 3, fino a Endgame; dopodiché alcune cose valide, altre molto meno. Devo dire, c’è una volontà che non capisco di demitizzare, depotenziare l’universo così iconico dei supereroi. C’è un po’, non lo so, una volontà che io non capisco in questo momento e quindi non ho giudizi. Vedremo dove andranno a parare poi.
Chi è il tuo supereroe preferito tra Marvel e DC?
Batman.
Ultima domanda: che consiglio daresti a chi ha il desiderio di intraprendere una carriera simile alla tua?
Un consiglio per intraprendere una carriera come la mia – per esperienza personale e anche di persone che hanno seguito un po’ lo stesso percorso di studi – è quello di avere una abnegazione enorme nel percorrere questo tipo di strada, cioè di avere molta caparbietà, soprattutto nel lavoro: è molto frustrante, soprattutto all’inizio perché uno ha delle idee molto “fighe” ma le tue capacità sono minime. Lo dico sempre, negli anni l’unica cosa buona che vedo è che quando ho iniziato la mia immaginazione stava a 100, la mia realizzazione stava a 10, per cui, ogni volta che io realizzavo una cosa che pensavo, questa non era quasi mai soddisfacente o simile a quella che avevo immaginato. Questo negli anni si sta un po’ assottigliando, per cui ora siamo a 50 e 50; ogni tanto mi viene come la penso, mi viene un po’ meglio ma spesso viene peggio di quello che immaginavo.
Io ho concluso, vuoi dire qualcosa tu per chiudere?
No, volevo soltanto dire grazie Monica e grazie a tutti quanti.
Grazie a te.
Monica Tosoni
No Comments