L’animazione: come nasce e come funziona
Looney Tunes! Biancaneve! Tom & Jerry! Betty Boop! Topolino! Sono tutti film e cartoni animati che certamente conoscete (spero). Ormai nel catalogo Disney ce ne sono centinaia e se ne aggiungono sempre di nuovi sviluppati con tecnologie avanzate, ma forse quelli più amati, quelli più ricordati e conservati nel cuore sono proprio i “meno recenti”, le produzioni risalenti al secolo scorso. A quanto pare l’animazione in 2D riscuote più successo del 3D, anche se le tecniche utilizzate nella loro produzione sono ormai obsolete. Ma probabilmente non vi siete mai chiesti quanto ci volesse in passato per produrre un cartone animato, quanto impegno fosse necessario. Bene, oggi vi parlo di animazione, di come nasce e di come si realizza.
Partiamo dall’inizio. Chi è stato il primo a produrre un qualcosa di animato? Walt Disney? No! Beh, non è del tutto vero: se parliamo di lungometraggi, allora sì, Disney è il primo, ma torniamo sull’argomento dopo. Gli storici del cinema considerano Fantasmagorie di Émile Cohl, del 1908, come il primo cartone animato della storia: dura circa 80 secondi ed è composto da circa 700 immagini. E Cohl lo ha pure realizzato da solo! Nello stesso anno produce inoltre Un drame chez les fantoches, un cartone animato di due minuti. In campo di cortometraggi veri e propri, invece, il filmato più vecchio appartiene a Max Fleischer, animatore polacco naturalizzato statunitense che nel 1915 ha depositato il brevetto per il rotoscopio e ha prodotto il primo cortometraggio nel 1918, anche se i primi esperimenti risalgono al 1914. Fu il primo di una “serie” chiamata Out of the Inkwell, in cui si alternano scene con attori in carne e ossa (tra cui Fleischer stesso) e scene animate, con protagonisti disegnati a inchiostro che prendono vita. La serie fu prodotta fino al 1929, e nel mentre l’animatore diede vita ai Fleischer Studios, dove si produrranno i cortometraggi della serie Talkartoons: qui fanno la loro comparsa vari personaggi, che poi diverranno le star di questa casa di produzione, come Koko il Clown, Popeye (cioè Braccio di ferro) e Betty Boop.
E Disney? A inizio carriera realizzò brevi serie senza successo, ma la prima prodotta regolarmente fu Silly Symphonies, dal 1929 al 1939. La novità portata da questi corti fu l’unione tra la musica e i movimenti dei personaggi: nel primo, La danza degli scheletri, gli animali e gli scheletrini ballano al ritmo dell’orchestra che suona in sottofondo. Nella serie non c’erano personaggi fissi, ma cambiavano ogni volta; fecero infatti la loro comparsa molti degli amici di Topolino (oltre a Topolino stesso) e personaggi delle fiabe, come ad esempio i tre porcellini. La Warner Bros cercò di tener testa a questa serie di successo, creando la sua versione delle Silly Symphonies, chiamata Merry Melodies (Oscar per la creatività, eh). Anche qui non c’erano personaggi fissi, ma alcuni furono sviluppati e diventarono star in cortometraggi a sé: da qui nascono i Looney Tunes, e il primo fu Porky Pig. Fun fact: in un episodio suddetto Porky Pig va a caccia di anatre, e una di queste è Duffy Duck; Mel Blanc, il doppiatore inglese di tutti i Looney Tunes, lo doppiò imitando la voce di Leon Schlesinger, il produttore.
Ma tornando a Disney: come ho detto prima, egli detiene il primato nel campo dei lungometraggi animati. Il primo film fu Biancaneve, uscito nel 1937. Per realizzarlo servì un budget assurdo, poco più di un milione e mezzo di dollari – che in dollari moderni corrispondono a 25 milioni – e Disney, oltre a chiedere un prestito, ipotecò pure la propria casa. Quasi nessuno credeva che questo film sarebbe stato apprezzato, era definito “la follia di Disney”, ma quando uscì al cinema fu un enorme successo, non solo tra i bambini ma anche tra gli adulti. Non solo era un lungometraggio interamente animato di circa 90 minuti, ma era anche a colori! Beh, non era la prima produzione animata a colori di Disney (la prima fu Fiori e alberi, del ‘32), ma ciò non cambia comunque la suggestiva impressione che ebbe sul pubblico. Furono necessari quattro anni di lavoro per ottenere questo grande risultato, e a giorni dalla proiezione non era ancora concluso.
Ma come funziona l’animazione? Si deve procedere fotogramma per fotogramma, e questa tecnica è detta in inglese frame-by-frame: bisogna realizzare una serie di disegni in sequenza – detti frame – e poi montarli. Il numero di frame necessario viene stabilito in base a quanta fluidità si vuole nell’animazione. Lo standard è 24 fps, cioè frame per second: significa che, per realizzare un secondo di filmato, servono 24 frame. Capite bene quindi quanto lavoro serve per realizzare anche solo pochi minuti (e perché la gente credeva nel fallimento di Biancaneve): fate un paio di calcoli e otterrete che per realizzare questo film servirono circa 120.000 frame. In realtà, Biancaneve è un caso a parte, perché in generale gli studi di animazione usano “solo” 12 frame in ogni secondo: ogni immagine viene infatti usata due volte. Per i disegni si utilizzavano fogli di acetato di cellulosa, chiamati rodovetri – in inglese cels, per cui questa tecnica tradizionale è detta anche cel animation. Questi fogli sono semitrasparenti, e ciò permette di fare due cose: primo, i fogli si possono sovrapporre e illuminare dal basso, così che, nel disegnare un frame, si può vedere l’immagine precedente e avere una “guida”; secondo, si può inchiostrare da un lato e colorare dall’altro, in modo da avere un risultato più pulito. Sul rodovetro si disegnano solo i personaggi, mentre lo sfondo viene disegnato a parte e nella composizione finale gli vengono sovrapposte le sagome delle figure. Ovviamente, al giorno d’oggi il disegno tradizionale è stato superato dalla tecnologia digitale.
Per creare sequenze animate con movimenti realistici i disegnatori possono affidarsi alla tecnica del rotoscoping. Per questa tecnica, utilizzata sin dagli albori dell’animazione, serve un filmato live-action girato in precedenza: ad esempio, si filma un’attrice vestita da Biancaneve che fa una piroetta. Una volta girato, si prende la pellicola e si estrae un fotogramma, che viene proiettato sul tavolo da disegno con il rotoscopio. A questo punto si ricalca la sagoma dell’attrice e le linee base e ci si disegna sopra la faccia di Biancaneve. La stessa procedura viene ripetuta per i fotogrammi successivi. I gesti dei personaggi, avendo come riferimento la realtà, appaiono così molto più fluidi e verosimili. Fleischer utilizzò questa tecnica per animare Koko il Clown, personaggio ispirato al fratello Dave (che guarda caso in quel tempo lavorava come clown), ma i suoi studios non furono gli unici ad avvalersene: fu usata da Disney per Biancaneve, Cenerentola, La bella addormentata, Alice nel paese delle meraviglie e altri lungometraggi. Il rotoscopio venne impiegato anche al di fuori del cinema di animazione: è stato usato nella trilogia originale di Star Wars, per creare l’effetto delle spade laser accese. Insomma, è stato l’antenato del CGI. La tecnica del rotoscopio oggi può essere impiegata anche in digitale, senza supporti analogici.
Sull’argomento potrei dilungarmi ancora per molto, esistono migliaia di cartoni animati da commentare, varie tecniche di animazione da descrivere… Ma, dopotutto, sto trattando di cartoni animati: non se ne può solo parlare, bisogna anche guardarli! Vi invito quindi ad andare a cercare i filmati che ho citato, e, per concludere, vi chiedo: qual è il vostro film o cartone animato preferito?
Monica “Toso” Tosoni
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