Minimum Tax: cos’è la nuova sfida americana?
Martedì 7 febbraio si è tenuto a Washington D.C. lo State of the Union Address, il messaggio annuale del Presidente alle due camere, nel quale Biden ha riproposto l’introduzione di una “Billionaire minimum tax”, che andrebbe a colpire le famiglie con un reddito superiore ai 100 milioni di dollari, con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze nella tassazione tra la classe media e i più ricchi.
La situazione
Negli Stati Uniti la disuguaglianza tra queste due classi è effettivamente aumentata negli ultimi decenni, come mostrano alcuni dati: ad esempio, il gettito prodotto dall’imposta sul reddito, che colpisce principalmente le classi meno abbienti, è passato dal 7,46% del PIL nel 1965 al 10,26% nel 2019, un aumento del 37,5% contro la crescita media del 23% registrata nei paesi OCSE, mentre il rapporto tra proventi dell’imposta sugli utili d’impresa e PIL è passato nello stesso periodo dal 3.86% all’1,36%, calando dunque del 64,18%, laddove il trend OCSE ha registrato un aumento del 45,8%.
Come si può notare dal grafico, mentre negli USA il gettito generato dall’imposta sul reddito ha avuto un forte aumento e quello derivante dall’imposta sugli utili si è più che dimezzato, nel resto dei paesi OCSE la crescita percentuale della seconda voce è stata circa il doppio della prima.
Inoltre, nel 1989 l’1% più abbiente della popolazione americana possedeva il 23,6% della ricchezza complessiva, mentre nel 2019 ne possedeva il 30,4%. Un altro dato scioccante è l’aumento in termini assoluti di tale frazione di ricchezza, che è passata da 4’640 miliardi a 31’790 miliardi di dollari, con un aumento del 585%, contro la crescita del 159,7% del patrimonio totale della metà meno abbiente del paese, che è passata da 770 miliardi a 2’000 miliardi.
Questa differenza nella crescita è spesso attribuita anche al fatto che gli individui più ricchi tendono ad investire maggiormente in asset finanziari, come azioni e immobili, che presentano il vantaggio di essere tassati solamente al momento della vendita: ad esempio, se qualcuno possiede una villa, nel suo patrimonio è considerato l’intero valore della struttura, nonostante il fatto che se essa fosse venduta una parte degli introiti andrebbero allo Stato.
La proposta
Entra dunque in gioco la proposta di Biden, che forzerebbe ogni famiglia con un patrimonio superiore ai 100 milioni di dollari a pagare una “imposta effettiva minima” del 20% sul reddito, che nel calcolo includerebbe anche le plusvalenze non realizzate, ossia gli aumenti di valore degli asset che non vengono però venduti. Questo significa che, se le imposte totali pagate in percentuale alle entrate non raggiungono il 20% della cifra individuata, sarà necessario versare tasse aggiuntive fino a raggiungere quel 20%. Propongo un esempio: immaginiamo che una persona che rientra nella categoria alla quale è applicata questa tassa abbia entrate in dollari pari a 40 milioni e ne paghi 10 in tasse: essa ha versato il 25% della cifra iniziale. Immaginiamo ora che la stessa persona possegga un titolo che non ha venduto e il cui valore, nello stesso arco di tempo, è aumentato di 60 milioni: al giorno d’oggi questo capitale sarebbe tassato solamente al momento della vendita; invece, seguendo la proposta di Biden, tale crescita sarebbe inclusa nel reddito, che salirebbe dunque a 40+60=100 milioni di dollari. I 10 milioni versati sono dunque ora solo il 10% del totale. Il proprietario del titolo dovrà dunque versare altri 10 milioni di dollari, portando il totale a 20 milioni, in modo da raggiungere la soglia minima del 20%.
Pregi e difetti
La misura comporterebbe tuttavia una serie di complicazioni: in primo luogo, essa richiederebbe un’assunzione in massa di dipendenti da parte dell’IRS (Internal Revenue System, il corrispondente dell’Agenzia delle Entrate negli USA), poiché sarebbe necessario tenere traccia delle variazioni di valore di tutti gli asset dei miliardari, che generalmente ne possiedono una moltitudine, rendendo il calcolo molto complicato; inoltre, nel caso in cui il valore del titolo posseduto calasse, per bilanciare la quantità di tasse già pagate su un capitale che effettivamente non c’è più sarebbero previsti anche dei crediti fiscali, ossia un’esenzione dal dover pagare una determinata quantità di imposte in futuro, che tuttavia nel caso di asset molto volatili, cioè il cui valore è soggetto a continui sbalzi, come, per esempio, le azioni del settore tecnologico, risulterebbero difficilmente spendibili, poiché si accumulerebbero in quantità decisamente maggiori rispetto alla somma dovuta allo Stato. Un possibile rimedio a ciò è già stato proposto dal Presidente, e consisterebbe nella possibilità di pagare questa imposta rateizzandola nell’arco di nove anni, in modo da poter rivisitare l’ammontare dovuto in caso l’asset calasse di valore, riducendo così la necessità di effettuare rimborsi ed erogare crediti.
Un altro grave problema sarebbe quello della valutazione: non è possibile calcolare con precisione il valore effettivo di un bene in un determinato istante fino al momento della vendita, quando è messo su carta: ad esempio, le azioni di Amazon possedute da Bezos hanno un valore molto più alto rispetto a quelle di investitori più piccoli, poiché garantiscono una forma di controllo sulla compagnia; oppure, quale criterio andrebbe utilizzato per stimare i cambiamenti nel valore di un immobile?
Rimane anche il dubbio sulla costituzionalità della misura, dal momento che già nel 1920, nel caso Eisner v. Macomber, la Corte Suprema aveva stabilito che il reddito derivante dall’apprezzamento di un asset deve essere realizzato (e tale asset deve quindi essere venduto) prima di poter essere tassato e, considerando la schiacciante maggioranza dei repubblicani rispetto ai democratici nella Corte Suprema (6-3), è decisamente improbabile che questa decisione venga rivisitata nel futuro prossimo.
Detto questo, per quanto la proposta troverà certamente una forte opposizione all’interno del Congress e le sue probabilità di essere approvata sono molto basse, essa mostra la volontà dei democratici di affrontare le disuguaglianze nel trattamento dei cittadini a livello fiscale: una forte presa di posizione, in vista della battaglia elettorale per il 2024.
Lorenzo Gandolfi, collaboratore del Bagatta, esperto in economia
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