Uscito nell’ottobre del 2024, The substance è un film che ha provocato negli spettatori le più svariate reazioni: chi l’ha amato, chi l’ha odiato e chi addirittura è corso nauseato fuori dal cinema. Sicuramente la regista Coraline Fargeat ha osato molto nella realizzazione di questa pellicola con cui, in modo diretto e a tratti disturbante, è riuscita ad esplorare (almeno in parte) la complessità della mente umana. 

La protagonista è Elisabeth, una famosa attrice di Hollywood interpretata da Demi Moore che per questo incredibile ruolo ha vinto il meritato Golden Globe come miglior attrice in un film commedia o musicale. Elisabeth conduce ormai da anni un programma di aerobica con grande successo; viene però licenziata, perché considerata troppo vecchia e ormai inadatta per una trasmissione simile, evento che segnerà l’inizio del declino della sua carriera. All’attrice però si pone davanti una possibilità: una sostanza (da qui il titolo) che le permetterà di creare una versione migliore di sé stessa, più giovane, dinamica e che continuerà a recitare il suo ruolo preferito, quello di star dello spettacolo. La regola è una sola e molto semplice: lei è una. Elisabeth e Sue, così si chiama la sua migliore versione interpretata da Margaret Qualley, sono la stessa persona e devono vivere a settimane alterne per poter mantenere l’equilibrio necessario a questo esperimento per riuscire. La situazione sfugge però di mano e il tentativo della protagonista di mantenere il controllo sulla propria vita e sulle proprie scelte si trasforma velocemente nella totale perdita di esso. Elisabeth si accorge e sa perfettamente che la sua “altra lei” la sta distruggendo, si sta appropriando sempre di più della sua vita e delle sue forze, ma non riesce a rinunciarvi. Quella che ha sviluppato è una vera e propria dipendenza, psicologica e sociale oltre che naturalmente fisica. La paura di invecchiare e venire dimenticata supera il male che sta procurando a se stessa e le impedisce di vedere che sta abbandonando del tutto la sua vita. 

La tensione che questo film riesce a creare e a trasmettere allo spettatore è enorme, specialmente grazie all’uso di una fotografia molto minimalista che focalizza l’attenzione su dettagli disturbanti in grado di provocare un fastidio anche fisico. Quasi tutti i sensi sono coinvolti in questa esperienza perché grazie a queste riprese, accompagnate da momenti di silenzio che si alternano a rumori distorti usati per amplificare lo stato emotivo, lo spettatore riesce quasi a sentire sul proprio corpo ciò che accade ai personaggi. 

Uno dei temi principali è la riflessione sull’oggettificazione del corpo femminile, che la nostra società spesso attua attraverso social, televisione e altri media. All’interno del film questo aspetto viene evidenziato da inquadrature volutamente iper sessualizzate del corpo di Sue fatte mentre viene ripresa per il suo programma di aerobica. Questo linguaggio grottesco riguarda però sia i corpi femminili che quelli maschili: i primi diventano pezzi di carne che finiscono per sfaldarsi con l’avanzare del film, i secondi vengono invece resi dei mostri attraverso una distorsione ottica data dall’uso di lenti grandangolari a distanza ravvicinata, come avviene per il dirigente dello show Harvey, interpretato da Dennis Quaid. 

Nel film è centrale il tema della sofferenza, legata certamente alla dipendenza, ma anche  alla vulnerabilità e alla fragilità che ciascun uomo ha di fronte alla vita. Coraline Fargeat è riuscita a farci percepire e provare questa sofferenza, in modo brusco, certo, ma forse dare uno scossone è proprio la tecnica giusta per fare in modo che importanti messaggi arrivino  al pubblico forti e chiari. 

Carlotta Guerra